Onorevoli Colleghi! - Negli ultimi anni si è fatta sempre più evidente l'esigenza di elaborare un seria riforma dell'accesso alla professione forense.
      La professione forense si caratterizza per essere una delle «professioni liberali»; la progressiva espansione del numero dei candidati, dovuta alla semplificazione e alla generalizzazione dell'istruzione universitaria, ha causato l'aumento esponenziale delle domande di accesso, che si è tradotto in una dicotomia territoriale sull'esito delle prove di accesso. Ciò ha indotto il cosiddetto «turismo forense», grazie al quale nutrite schiere di praticanti settentrionali «emigravano» per sostenere l'esame presso sedi dove storicamente venivano nominate commissioni che mostravano una minore severità nell'attribuzione dei giudizi.
      Con il decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2003, n. 180, si è creduto di porre rimedio a questa anomalia mediante un meccanismo farraginoso che ha previsto l'abbinamento casuale tra sedi di esame e commissioni esaminatrici, in modo da incrociare il sud con il nord, senza considerare che ogni territorio è caratterizzato da una sua tradizione nello svolgimento dell'attività forense e da un suo peculiare clima culturale. Occorre infatti considerare che l'impostazione dei pareri motivati e degli schemi di atti giudiziari inevitabilmente riflette sia il clima sia la tradizione culturale e forense che si è formata in quel particolare territorio. A distanza di tre anni si può affermare che la riforma predisposta mediante il citato decreto-legge n. 112 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 180 del 2003, non solo ha palesemente mostrato la sua inefficacia nel selezionare i «migliori», ma ha favorito l'ulteriore sperequazione degli esiti, generando un interminabile contenzioso amministrativo,

 

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che radicalizza il contrasto tra tribunali amministrativi regionali e Consiglio di Stato circa l'individuazione definitiva di parametri di giudizio univoci.
      L'obiettivo primario da perseguire è senz'altro quello di rendere più penetrante, effettivo ed efficace il biennio di pratica forense, rafforzando la funzione di vigilanza e di monitoraggio mediante l'attribuzione di poteri di controllo ai consigli dell'ordine.
      A tale fine la presente proposta di legge, composta da sei articoli, reca nuove disposizioni in materia di accesso alla professione forense, i cui punti essenziali prevedono:

          a) il potenziamento delle attività di controllo predisposte dal consiglio dell'ordine sull'effettiva effettuazione della pratica da parte degli iscritti nel registro;

          b) l'incentivazione della frequenza ai corsi formativi delle scuole di specializzazione per le professioni legali e delle scuole forensi mediante:

              1) la riduzione della durata complessiva del tirocinio da trentasei a ventiquattro mesi;

              2) l'esonero dalla prova preselettiva dei candidati che hanno superato l'esame conclusivo dei suddetti corsi;

              3) il computo dei punti assegnati ai candidati che hanno superato con profitto la prova conclusiva dei menzionati corsi nel calcolo del punteggio complessivo dell'esame di abilitazione;

          c) l'istituzione di una commissione nazionale chiamata a valutare i candidati che hanno svolto l'esame presso la corte d'appello dove palesemente sono state violate le regole per il corretto espletamento dello stesso, secondo quanto stabilito dal decreto emanato dal Consiglio nazionale forense;

          d) l'eventuale istituzione di sottocommissioni, aventi composizione identica a quella nazionale, nominate in numero tale da assicurare che ciascuna di esse non debba giudicare più di duecento candidati e chiamate a valutare le prove scritte e orali svolte nella corte d'appello di riferimento.

 

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